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IL DONO DI NATALE

 “ Oh! O quante belle figlie Madama Dorè…” .. La piccola Anna , tenendo sollevato con la manina un lembo del grembiulino, andava verso il nonno a tempo di musica per fargli l’inchino alla fine della strofa e retrocedere poi attendendo il seguito del gioco. Il corridoio della casa era per lei il giardino fiorito davanti al castello della “Madama” e la luce accesa il sole.

Il nonno, con i suoi capelli candidi e gli occhi brillanti, tanto simili a quelli della nipote, si assoggettava sorridente al rito della danza pur di vedere quella trottolina dai riccioli bruni felice.

Dalla porta della grande cucina arrivavano ad ondate i profumi dei cibi che la mamma e la nonna stavano preparando per il cenone e poi il pranzo di Natale, il terzo della vita di Anna,  un avvenimento importante per la bimba perché, per la prima volta, aveva imparato all’asilo la poesia riservata al momento finale del pasto, prima del dolce, e che avrebbe “interpretato”  assieme a quella insegnatale dal papà, che parlava delle “ciaramelle” ossia delle zampogne e degli zampognari come spiegato dal padre.

Nella sala, accanto al pianoforte, c’era un albero di natale, alto due volte lei, le sembrava immenso, tutto adornato con le palle colorate che “non si devono toccare” perché fragili come una bolla di sapone, lo aveva sperimentato lei stessa rompendone una che le sembrava tanto bella.

Il campanile della chiesa poco lontano batteva le ore nel pomeriggio nebbioso.

Si respirava aria di festa,  la sala da pranzo, quella con il pianoforte e la tavola con i centrini di pizzo ed i ninnoli di cristallo, che di solito era chiusa a chiave ora era aperta ed illuminata dal lampadario di Murano con tutte le luci accese. Di solito ne svitavano la metà, perché il bilancio familiare spesso poneva la scelta tra illuminazione, riscaldamento e mangiare, tanto che la nonna alle richieste della piccina  quando facevano insieme la spesa al mercato spesso rispondeva che “erano fuori con il mulo”, una frase in codice per significare che non c’era danaro sufficiente.

Ma per Natale no, non si doveva lesinare.

Il giorno di Natale sarebbero venute a pranzo anche l’altra nonna e la zia, la sorella della mamma che le faceva sempre gli scherzi nascondendole le caramelle che le piacevano tanto, ma Anna voleva loro talmente bene che solo il nominarle la rendeva felice.

Il nonno tendendo la mano le faceva fare la “riverenza” e la piccola giocava con la grazia di una principessina quale infondo era. Anna era l’unica bimba della famiglia, chiacchierina come poche aveva la capacità di parlare con chiunque senz’imbarazzo, e s’informava sempre della salute degli altri con la serietà di chi è veramente interessato, poi raccontava i fatti suoi, con ingenua sincerità conquistando anche i più reticenti. La mamma cercava di frenarla, ma lei era una “forza della natura”, mai sazia di conoscenza sin dalla più tenera età, e con una memoria incredibile, tanto che il papà le aveva insegnato parecchie poesie, veri classici della letteratura che, recitati con sussiego dall’alto di una sedia-palcoscenico, deliziavano sempre le riunioni familiari.

Il gioco-pantomima stava per giungere al termine quando uno squillo del campanello faceva correre Anna alla porta per aprirla prima della mamma.

Sull’uscio c’era un signore che teneva tra le mani un enorme (per la piccola) cesto pieno di cose da mangiare, e porgeva un biglietto. Il papà, uscito dallo studio situato proprio davanti all’ingresso, preso il biglietto lo lesse e poi disse al signore di restituire il pacco al mittente al quale poi lui stesso avrebbe spiegato il perché.

Mentre il signore si allontanava perplesso con il cesto tra le mani, Anna interdetta chiese al papà perché non aveva accettato quel dono, visto che c’erano tante cose buone, ma il padre accigliato tornò a rinchiudersi nello studio lasciando al nonno il compito di spiegare alla piccola la situazione:

          “Vedi Anna, il signore che ha mandato il pacco vorrebbe che papà gli facesse un “favore” dandogli qualcosa che forse non gli spetta, e tuo padre non permette ad alcuno di interferire nel suo lavoro, lui rispetta sempre il suo dovere e se la cosa è giusto che l’abbia l’avrà anche senza dono, mentre se non gli spetta non ci saranno possibilità che l’abbia”.

          “..ma nonno, non gli era possibile accettare il cesto e poi fare lo stesso il suo dovere?”

          “Se tu accetti un dono non sei più libero perché devi ricambiare in qualche modo, quindi l’unica strada è quella di non farlo. Ora vai a lavarti le manine che la nonna ha quasi finito di preparare la cena.”

La piccola perplessa rimuginando sull’accaduto si avvia verso la cucina dove la mamma la fa salire su di una sedia vicino all’acquaio.

IL DONO DI NATALEultima modifica: 2007-12-23T18:40:00+01:00da
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